LE TUTE SPAZIALI SONO DISPOSITIVI DI PROTEZIONE INDIVIDUALE

09/09/2022 – Intervento del CEO di D-Air lab, Vittorio Cafaggi, alla Tavola Rotonda in occasione della celebrazione degli 800 anni dell’Università di Padova, sul tema Spazio.

“Quando pensiamo alle attività umane nello spazio, la mente corre immediatamente alle immagini di Neil Armstrong e Buzz Aldrin e alle loro famose impronte sul suolo lunare. Immagini che ricordano quelle di eroi polari come Amundsen o Umberto Nobile, che ci procurano una sensazione di meraviglia venata da un sottile senso di preoccupazione. Le missioni dello Space Shuttle (es. per il telescopio Hubble) hanno invece iniziato a mostrare astronauti inviati nello Spazio non tanto per essere “semplicemente là”, ma per svolgere attività che possiamo sicuramente definire lavorative, sia pure in ambienti assolutamente inconsueti. Ciò nonostante, per chi non è un addetto ai lavori, l’uomo nello spazio evoca ancora immagini più legate alla dimensione eroico/temeraria degli esploratori e associate ad un futuro certamente possibile ma inevitabilmente remoto.

Sappiamo che non è più così: i piani per la creazione di stazioni orbitanti attorno alla Luna e basi logistiche sulla sua superficie per compiere il balzo verso Marte sono concreti. Dunque, non andremo sulla Luna per tornare subito dopo sulla Terra, ma ci rimarremo a lungo per svolgere tutte quelle attività lavorative di creazione di infrastrutture, gestione di materiali e persone che serviranno allo scopo. Non siamo in una delle famose serie televisive di fantascienza degli anni ’70 è quello che si dovrà fare.

Se il tema della sicurezza sul lavoro è urgente sulla Terra, possiamo facilmente immaginare quanto possa esserlo in ambienti ostili come quello lunare, conosciamo tutti anche troppo bene quali sono le conseguenze della microgravità, delle radiazioni, dell’assenza di atmosfera. Si tratta di pericoli ai quali sarà esposto un numero via via sempre maggiore di persone, occorre quindi pensare a norme comportamentali, procedure operative e Dispositivi di Protezione Individuale producibili su scala industriale e pensati per proteggere un numero di persone molto più elevato degli astronauti/cosmonauti attualmente operativi. Cambia quindi l’approccio all’equipaggiamento che, nel rispetto di tutti i requisiti tecnici richiesti dall’aggressività del contesto nel quale si dovrà lavorare, andrà progettato con un approccio più tipico della produzione industriale che dovrà altresì puntare anche ad abbassare i costi che attualmente sono proibitivi. La tuta spaziale va quindi vista in prospettiva come Dispositivo di Protezione Individuale che, pur nella sua complessità, andrà progettata e gestita come oggi sono progettati e gestiti i DPI correntemente raccomandati per le attività più rischiose, e non più come straordinari “pezzi unici”.”

In copertina la Biosuit, la tuta spaziale progettata e realizzata da Dava Newman (Prof.ssa di Aeronautica, Astronautica e Ingegneria dei Sistemi al MIT Massachusetts Istitute of Technology Cambridge, USA ed Ex Vice Amministratrice della NASA), in collaborazione con Dainese, più leggera, aderente ed ergonomica delle classiche tute spaziali, progettata a partire dagli studi di Arthur Iberall degli anni ‘40 sul concetto delle “linee di non estensione”, linee sul corpo umano sulle quali è possibile esercitare una pressione senza per questo limitare i movimenti.